È arrivata la notizia dell’uccisione del secondo
ostaggio giapponese Kenji Goto.
Il primo ministro giapponese Abe Shinzo ha espresso la
sua indignazione, ed ha annunciato tolleranza zero verso il terrorismo, e
collaborazione internazionale con gli altri paesi per assicurare l’esecutore
del crimine alla giustizia.
Penso sia fortemente da ammirare l’atteggiamento
tenuto dal Giappone in questa situazione. Il Governo Giapponese, pur avendo
avuto diverse manifestazioni da parte dei cittadini nel proprio territorio per
la liberazione dell’ostaggio, ha deciso di mantenere la propria impostazione e
di non cedere al ricatto. Se ogni Stato facesse come il Giappone i terroristi
islamici smetterebbero di rapire i cittadini degli altri Paesi, perché sarebbe
inutile farlo. Adesso, interpretando le frasi dette dal terrorista islamico John durante l’uccisione
dell’ostaggio “siamo assetati del vostro sangue”, il Giappone si dovrà
aspettare qualche attentato sul suo suolo. Tale frase non è solo espressione dell’irritazione
dell’Isis al fatto che il Giappone non abbia ceduto al ricatto ed obbedito agli
ordini, ma è anche espressione dell’atteggiamento prepotente del fanatismo (in
generale e non solo di quello islamico) abituato a pensare di avere ragione ed
a comandare.
Del resto sono questi i fanatici: persone con le quali
non si può parlare, che non accettano altra possibilità di visione delle
situazioni se non la loro, e disposti a tutto per imporre agli altri la propria
visione, con le buone o con le cattive. Il fanatismo, e non mi riferisco esclusivamente a
quello islamico ma proprio al fanatismo in genere come espressione umana, ha
molte espressioni nel mondo. Anche i nazisti erano fanatici ed hanno
sistematicamente ucciso milioni di ebrei nei campi di concentramento. Le stesse
brigate rosse che abbiamo avuto presenti nel territorio italiano sono state un’espressione
di fanatismo, che ha portato all’uccisione di civili o di esponenti dello Stato
nelle stragi. La stessa mafia è espressione, talvolta, di fanatismo, anche se
in quei casi è riferito solo ad interessi economici e di potere.
Quindi vi sono diversi tipi di fanatismo: religioso,
politico, economico, di potere e culturale. Gli esponenti del terrorismo islamico
dell’Isis li racchiudono tutti quanti. Le milizie spesso sono mani che sentono
maggiormente solo uno di questi aspetti, e, per ideologia, sono armati delle
migliori intenzioni. A quel punto il terrorista pensa di stare nel giusto, e
tutti gli altri sono i nemici. Per i fanatici terroristi non c’è differenza tra
cittadini civili ed istituzioni, sono entrambi nemici. Del resto è una
mentalità logica: vedono lo straniero come un intruso che è venuto
ingiustamente sul loro suolo, ed espressione di quella mentalità occidentale
per loro impura ed a loro contraria.
Ad uccidere Kenji Goto pare sia stata sempre la mano
del carnefice John. Considerazione: Se John può anche prendersi la libertà di esternare
minacce al Giappone ed all’occidente vuole dire che non è un semplice esecutore
o boia, ma è uno dei capi. Se, a quanto pare, il luogo dell’esecuzione è stato
individuato nelle vicinanze di Aleppo, allora dovrebbe essere imminente un attacco
delle forze contrarie terrorismo in tale luogo. È in valutazione? John ha
possibilità di muoversi? Sono notizie che non si hanno, e che forse nemmeno le
intelligence hanno. Probabilmente, prima di attuare un’azione che rimane
finalizzata a se stessa, ma che porta con se una serie di conseguenze, ci si
pensa bene. Forse agire su un solo luogo prevede comunque un’azione più
diffusa.
Ma se l’Isis è
uno Stato (a quanto pare), allora perché non intervenire in modo drastico
totale e radicale su quel territorio, prima con attacco aereo e poi
terrestre(usando in entrambi i casi il più possibile droni che evitino
l’impiego di uomini sul campo)?
Se uno Stato europeo od occidentale ad un cero punto
impazzisse, e si mettesse a tagliare la gola a cittadini italiani, o
giapponesi, o tedeschi, o inglesi, ecc., e dichiarasse apertamente di volere
imporsi nella mentalità e nei territori degli altri Stati (dichiarazione di
guerra), ed attuasse attentati direttamente in quei Paesi (azioni e
dimostrazione di guerra), il resto dei Paesi europei ed occidentali valuterebbero
seriamente la possibilità di intervenire militarmente, rispondendo alla guerra
con altra guerra. (Breve parentesi: per fortuna questo scenario in Europa è
impensabile, perché l’Europa, seppure divisa su alcune impostazioni, è Unita. Difatti,
l’unità europea, ed ancora di più il patto della NATO, serve proprio a
scongiurare i conflitti come quelli che poi hanno portato alle guerre mondiali.
Ma il fatto inevitabile dell’evoluzione dell’uomo da un punto di vista
geo-politico porta (almeno per ora), con le alleanze e con la globalizzazione,
a conflitti sempre più ampi. Mentre prima lottava il piccolo comune, o feudo,
contro il vicino, poi ha lottato una nazione contro un’altra nazione, ora
saranno i continenti a fare la guerra contro gli altri continenti. L’alleanza è
di per sé un punto di forza, ma contiene anche delle responsabilità.) Ed allora
perché tale eventualità non viene presa in considerazione anche contro il
terrorismo islamico proprio adesso che tale terrorismo ha a quanto pare una
nazione? Il fatto è che non è vero che non viene presa in considerazione, ma
che (fortunatamente) prima di attuare ciò si vogliono percorrere tutte le altre
strade che possano scongiurare una guerra Intervenire militarmente in una zona così
carica di tensioni (il Medio Oriente appunto) potrebbe fare da detonatore in
una zona altamente esplosiva, e lasciare che tali tensioni e contraddizioni
poi si esprimano con tutta la loro forza e violenza all’interno di quell’area
geografica fino nella nostra, amplificando ed anticipando l’arrivo dell’islam
nei nostri territori. È per questo che, a mio avviso, prima di intervenire
militarmente nel territorio del’Isis, bisognerebbe avere risolto altre
questioni importanti che creano tensione nel Medio Oriente, ad esempio
riconoscere lo Stato della Palestina (che sarebbe giusto riconoscere) e
dire a quei due (Israele e Palestina) di andare d’accordo. Ma è anche il Medio
oriente stesso che deve risolvere i propri rebus, indipendentemente dalla
volontà, e dall’interferenza (positiva o negativa) dell’occidente e del resto
del mondo. La pace si costruisce da chi vuole costruire pace. E più continenti in pace formano un mondo migliore.
Ma non c’è tempo. I secondi passano e l’Isis diventa
sempre più forte, insieme alle contraddizioni islamiche non risolte. Quindi,
probabilmente, prima o poi bisognerà intervenire. A mio avviso, un impiego
armato in quei territorio va attuato solo quando si ha la certezza di vincere,
e dovrebbe essere un qualcosa di veloce e di violento, e dopo avere attuato
tutte le altre strategie che vanno a colpire il terrorismo islamico senza usare
le armi.
Ma quali sono
i fattori sui quali agire per sconfiggere il terrorismo islamico e fare in modo
che non venga a casa nostra, né con attentati e né in modo stabile? Sono certamente più fattori.
Prima di tutto, a mio avviso, bisogna capire il perché
ci sono persone che si vogliono far esplodere pur di perorare la propria causa,
e quali sono le ragioni della propria causa. Non si può ridurre tutto solo al
fatto che si tratta di terroristi o di pazzi. Bisogna cercare di capire se ci
sono delle ragioni oggettive in tale atteggiamento, e se l’occidente non sbagli
in qualche cosa nei riguardi di tali territori. Nel caso, individuati tali
sbagli, l’occidente dovrebbe cambiare il proprio atteggiamento (smettere di
sbagliare). Ma se è giusto che l’occidente non vada in quei territori, a
prendere il loro petrolio (che comunque paga) e a dire come loro si devono
comportare o pensare, è altrettanto giusto che loro (fanatismo islamico) non
venga da noi a dire come dobbiamo pensare e come ci dobbiamo comportare.
Quindi: che ognuno se ne stesse a casa propria. E poi, quando si sta in casa
d’altri, che si rispetti e che non si offenda la cultura e la tradizione degli
altri. Questo vale per noi quando andiamo nei loro territori, e per loro quando
vengono nei nostri. Da noi (giustamente) si possono professare altre religioni,
e siamo da sempre un popolo democratico con le altre culture (nell'antica Roma con la costruzione del Pantheon, e adesso con le moschee). Da
loro, in alcuni casi, a quanto pare, tale rispetto e democrazia verso le altre
religioni non esiste. Insomma rispetto reciproco, cosa che l’Islam moderato non
ha difficoltà a concepire.
Secondo: colpire l’Isis da un punto di vista
economico. Ed il pagamento dei riscatti certamente non va in tale direzione, ma
al contrario è un’immissione di denaro delle casse del terrorismo per pagarsi
armi e per costruire centri di indottrinamento, e per continuare a formare
i bambini come futuri terroristi (quindi il problema si riproporrà per ancora
molto tempo). Certamente però il non pagare i riscatti dovrebbe essere una
impostazione comune a tutti i paesi. Tolleranza zero vuole dire anche non
cedere ai ricatti, e tale atteggiamento dovrebbe (e dovrà) essere condiviso
anche da tutti gli altri Paesi, all’interno di una strategia comune contro il
terrorismo. Un altro modo per colpire
economicamente il terrorismo islamico è quello di non comprare il petrolio
da quei pozzi che sono gestiti dall’Isis. Al riguardo segnalo un articolo
che consiglio vivamente di leggere, scritto da Marco Cobianchi per Italia Oggi
il 29/08/2014, nel quale il giornalista riporta alcune considerazioni del
Vescovo di Aleppo George Abou Khazen che fa notare che “se solo le compagnie petrolifere la smettessero
di comprare il petrolio dai pozzi controllati dall'Isis a 10 dollari al barile
i terroristi non avrebbero più soldi per comprare armi.”
Terzo: cercare collaborazione con l’islam moderato,
e con quella parte di Medio Oriente che è legata a noi da una tradizione di
rispetto reciproco e di scambi commerciali, e chiedere a tale parte di prendere
posizione contro un estremismo che va contro l’occidente, e che certamente in
parte va anche contro di loro.
In pratica: isolare l’Isis prima di attaccarlo.
Ma per certi versi è proprio l’occidente che foraggia
l’Isis, e che è legato da accordi commerciali o da equilibri trasversali che ne
bloccano l’intervento su più fronti. Quindi, prima di tutto, l’Occidente deve
recuperare la sua libertà di azione.
Tale libertà di azione è spesso condizionata da
interessi economici e politici interni anche al’occidente stesso. E nel
frattempo l’Isis diventa sempre più forte, e fa maggiore propaganda.
Ma perché non fare anche noi un po’ di propaganda? Ma
no contro l’Isis, e nemmeno una propaganda che stimoli l’intolleranza o che
spinga alla guerra, ma una propaganda di valori e di giustizia alla quale anche
l’islam moderato si dovrebbe potere riconoscere. Al riguardo trovo molto bella
l’iniziativa portata avanti adesso in Francia nelle scuole a seguito
dell’attentato a Charlie Hebdo . Difatti questa non è solo una guerra
economica, politica, e religiosa, ma è anche una guerra di cultura. Ed è anche attraverso
la cultura che bisogna combattere.
Il mondo si dovrebbe interrogare su ciò che sta
facendo, e su come agire.
Una notizia di questi giorni è la sconfitta dell?isis
presso Kobane, ed è una buona notizia. Per approfondimento vedi https://www.ansa.it/sito/notizie/topnews/2015/01/31/isis-ammette-sconfitta-a-kobane_a624cc7b-6011-4c3f-bf5e-59cd1ae5adc3.html ed anche l’inchiesta di
Repubblica del 22/12/2014 “Una settimana nell’assedio di Kobane”
P.S.:
Sono contraria alla guerra, e spero in un mondo di pace, ma talvolta la guerra può servire a mantenere la pace. Certamente, prima
di arrivare a ciò, bisognerebbe impedire il verificarsi di situazioni che
portano alla guerra, ma questo non può capitare in un mondo ancora così diviso
e diverso, nelle sue caratteristiche contraddizioni. Forse, un giorno, quando
ci sarà sul serio un unico Parlamento terrestre nel quale tutte le popolazioni
siano rappresentate, e nel quale ci sia veramente dialogo, e nel quale si
prosegua sempre sulla via della giustizia (la tavola rotonda di Re Artù è
appunto una favola), e nel quale ogni stato deve garantire i diritti umani,
allora, forse, avremmo un mondo di pace (se non ci siamo estinti prima, si
intende).
Angela Pensword 31/01/2015
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